L’Unione Europea sta alzando l’asticella della trasparenza aziendale con la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD). Questo ambizioso quadro normativo mira a standardizzare ed espandere la rendicontazione di sostenibilità, con un impatto su migliaia di aziende che operano all’interno del mercato dell’UE e che vi si rivolgono.
Questo articolo esplora gli aspetti chiave della CSRD e fornisce una tabella di marcia semplificata per le aziende che si trovano a navigare in questo panorama in evoluzione.
Capiamo la CSRD: cosa c’è di nuovo?
Rispetto la precedente Direttiva sulla rendicontazione non finanziaria (NFRD), la CSRD introduce cambiamenti significativi ai requisiti di rendicontazione di sostenibilità, tra cui:
- Ampliamento del campo di applicazione: sono circa 42.500 le società con sede nell’UE che saranno soggette all’obbligo, un aumento significativo rispetto alle 11.000 della NFRD. Tale incremento è dettato dal fatto che la CSRD estende la sua portata a tutte le grandi società (quotate e non quotate) ed alle PMI quotate (escluse le microimprese). Anche le grandi organizzazioni con sede al di fuori dell’UE, con attività commerciali sostanziali all’interno dei suoi confini, rientrano nel suo campo di applicazione.
- Standard di rendicontazione dettagliati: la Direttiva impone l’uso degli European Sustainability Reporting Standards (ESRS), garantendo un approccio di rendicontazione standardizzato in tutta l’UE. Questi standard sono concepiti per coprire un ampio spettro di fattori ambientali, sociali e di governance (ESG), andando oltre le informazioni generali e fornendo un quadro dettagliato per un reporting completo. L’EFRAG – l’European Financial Reporting Advisory Group che si è occupata di predisporre gli ESRS – ha attualmente redatto tre “pacchetti” di standard applicabili alle aziende sulla base della loro dimensione: per le grandi imprese (quotate e non) sono disponibili gli ESRS sector-agnostic e settoriali; per le PMI quotate sono disponibili standard semplificati (ma comunque obbligatori), mentre per le PMI non quotate (e quindi non soggette alla Direttiva ma che potrebbero confluire nel flusso di raccolta dati di imprese più grandi che richiedono informazioni di sostenibilità) è stata predisposta una versione degli ESRS semplificata e volontaria. Sono invece ancora in corso di definizione gli standard per le società extra-UE soggette alla CSRD.
- Doppia materialità: una pietra miliare della CSRD è la doppia materialità, la quale richiede alle aziende di rendicontare non solo il proprio impatto sulle questioni di sostenibilità (approccio “inside-out”), ma anche come queste ultime influenzano la loro performance finanziaria (approccio “outside-in”). Questo doppio approccio offre una visione più olistica del panorama della sostenibilità di un’azienda e delle sue implicazioni all’interno e all’esterno.
- Revisione obbligatoria: A differenza della NFRD, la CSRD prevede l’obbligo di verifica delle informazioni di sostenibilità da parte di una società di revisione esterna. Per le imprese italiane, in realtà, non si tratta di una novità in quanto già con il d.lgs. 254/16 che recepiva la NFRD era già previsto l’obbligo di limited assurance. L’obiettivo per il futuro è quello di prevedere una reasonable assurance dei dati; in questo caso i revisori dovranno adottare procedure di audit più approfondite e dettagliate rispetto alla limited per poter emettere un’opinione positiva nel caso non riscontrino problemi significativi. Questo requisito sottolinea la crescente importanza dell’affidabilità e accuratezza dei dati di sostenibilità rendicontati, a beneficio di investitori e stakeholder interessati ai rapporti di sostenibilità.
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Misure della CSRD a favore delle PMI
Per mitigare gli oneri di rendicontazione, la CSRD introduce delle misure di salvaguardia per i soggetti “più svantaggiati”:
- “Value chain cap”: si intende un tetto massimo di informazioni che le grandi aziende soggette al reporting della CSRD possono richiedere alle PMI della propria catena del valore, al fine evitare richieste di rendicontazione eccessive.
- Periodo di transizione: un periodo di transizione di tre anni consente alle grandi aziende di incorporare gradualmente le informazioni sulla catena del valore nei loro rapporti, dando alle PMI il tempo di adattarsi e migliorare i loro processi di raccolta dei dati. Il periodo di transizione, inoltre, è concesso anche alle PMI quotate che potranno decidere di posticipare di ulteriori due anni la pubblicazione del report di sostenibilità, rispetto alle tempistiche stabilite dalla CSRD (2027).
- Standard semplificati per PMI quotate e non: come già anticipato, l’EFRAG ha predisposto diversi standard set per rispondere alle differenti esigenze delle aziende, specialmente a quelle delle piccole e medie imprese che spesso si ritrovano con poche risorse e competenze sui temi della sostenibilità:
- Standard per le PMI quotate ( ESRS for Llisted Small and Medium Enterprises – LSME): questi standard semplificati sono stati concepiti per bilanciare gli oneri di rendicontazione e le esigenze informative delle PMI, secondo il principio di proporzionalità. Gli standard per le PMI quotate (ESRS LSME) saranno emessi come atto delegato e entreranno in vigore il 1° gennaio 2026i. Lo scopo dell’ESRS LSME è quello di stabilire requisiti di rendicontazione proporzionati e pertinenti alla portata e alla complessità delle attività e alle capacità e caratteristiche delle PMI quotate interessate. Si prevede che ciò aiuterà queste imprese ad ottenere un migliore accesso ai finanziamenti e favorire l’attrattività degli investitori nei mercati finanziari, poiché consentirà la disponibilità di informazioni standardizzate sulla sostenibilità. L’attuale bozza degli ESRS LSME prevede solo tre sezioni: «1. Requisiti generali», «2. Informativa generale» e «3. Politiche, azioni e obiettivi», e tre sezioni dedicate ai parametri, «4. Ambiente», «5. Sociale» e «6. Condotta commerciale».
- Standard volontario per le PMI non quotate (Voluntary ESRS for Not-Llisted Small and Medium Enterprises – VSME): L’EFRAG ha sviluppato uno standard volontario di rendicontazione sulla sostenibilità per le PMI non quotate (VSME), sempre con l’obiettivo di supportarle nell’accesso a finanziamenti ed evitare la loro discriminazione per l’assenza di dati ESG standardizzate. Questi standard si propongono come un semplice strumento di reporting per rispondere alle richieste di informazioni sulla sostenibilità che ricevono dalle controparti aziendali (ad esempio, banche, investitori o società più grandi di cui sono fornitori) in modo efficiente e proporzionato, nonché per facilitare la loro partecipazione alla transizione verso un’economia sostenibile. L’attuale bozza degli ESRS VSME è strutturata in un Modulo Base e in due moduli opzionali aggiuntivi: un Modulo narrativo su Politiche, Azioni e Obiettivi (PAT) e un Modulo Business Partners.
Due Diligence di Sostenibilità della Catena del Valore
La CSRD riconosce che l’impatto di sostenibilità di un’azienda si estende oltre le proprie operazioni. Essa impone la divulgazione degli impatti significativi, dei rischi e delle opportunità legate alle relazioni commerciali lungo l’intera catena del valore. Ciò significa che le aziende sono tenute a valutare e a riportare le questioni ESG non solo all’interno delle proprie mura, ma anche all’interno delle loro catene di fornitura e delle reti di distribuzione.
Questo implica una valutazione e una rendicontazione degli impatti ESG a monte e valle, un aspetto fondamentale della due diligence.
Sebbene CSRD non prescriva esplicitamente un processo di due diligence ESG obbligatorio in ogni suo dettaglio, essa richiede alle aziende di fornire una rendicontazione approfondita e trasparente delle loro pratiche di sostenibilità, includendo aspetti cruciali della due diligence ESG. Le aziende devono dimostrare di aver identificato e gestito i rischi e le opportunità ESG in modo adeguato, il che implica inevitabilmente l’implementazione di processi di due diligence.
La CSRD, infatti, è strettamente collegata alla CS3D (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), la nuova direttiva che impone alle grandi aziende di adottare misure per identificare, prevenire e mitigare gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente lungo le loro catene di approvvigionamento. Questa direttiva mira a garantire che le aziende siano responsabili non solo delle loro operazioni dirette, ma anche delle attività dei loro fornitori. Rispetto la CSRD varia il campo di applicazione: la CS3D si applica principalmente alle grandi imprese (più di 500 dipendenti) ed alle aziende di settori ad alto rischio (come il tessile, l’agricoltura e l’estrazione mineraria), sia che siano stabilite nell’UE sia che vi operino attraverso filiali o catene di approvvigionamento.
Per concludere
La direttiva CSRD segna un significativo passo avanti nel cammino dell’UE verso un futuro sostenibile. Standardizzando e ampliando la rendicontazione di sostenibilità, la direttiva fornisce agli stakeholder dati affidabili e comparabili, stimolando pratiche aziendali responsabili e promuovendo la trasparenza. Sebbene la complessità della CSRD e dell’ESRS possa apparire scoraggiante, la comprensione degli elementi chiave, l’impegno in un solido processo di valutazione della materialità e la collaborazione proattiva con i partner della catena del valore sono passi cruciali per le aziende che non si limitano a conformarsi, ma sfruttano il reporting di sostenibilità come strumento strategico per il successo a lungo termine.
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