Ogni anno, 1.3 miliardi di tonnellate di cibo vengono gettate o sprecate.
Questo dato sconcertante potrebbe essere ridotto o invertito da semplici azioni dei consumatori e dei negozi, che darebbero forma a un futuro veramente sostenibile.
questo è quanto sostiene una nuova campagna globale lanciata il 23 gennaio dal Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), dalla FAO e alcuni altri partner e volta a diminuire drasticamente le quantità di cibo sprecato.
La campagna Think.Eat.Save. Reduce Your Foodprint supporta l’iniziativa SAVE FOOD per ridurre gli sprechi di cibo lungo tutta la catena di produzione e consumo. Think.Eat.Save cerca di accelerare un’azione correttiva e si propone di offrire un portale dedicato (www.thinkeatsave.org) per diverse iniziative che vengono attualmente intraprese a livello globale.
In tutto il mondo, circa un terzo di tutto il cibo prodotto, stimato in circa 1 trilione di dollari, va perso o sprecato nel sistema di consumo e produzione, secondo i dati rilasciati dalla FAO.
Le perdite si verificano soprattutto negli stadi della produzione – la raccolta, la lavorazione e la distribuzione – mentre lo spreco tipicamente avviene presso i negozi e da parte dei consumatori, cioè alla fine della catena di fornitura.
In un mondo popolato da 7 miliardi di persone, che potrebbero diventare 9 nel 2050, sprecare cibo non ha senso dal punto di vista economico, ambientale ed etico. A prescindere dalle implicazioni in termini di costo, tutto il terreno, l’acqua, i fertilizzanti e la manodopera necessaria alla produzione, vengono sprecati – per non parlare della generazione di gas serra prodotti dal cibo in decomposizione nelle discariche e dal trasporto di cibo che poi viene gettato.
Per far emergere la visione di un mondo veramente sostenibile, occorre una trasformazione nel modo in cui produciamo e consumiamo risorse.
Nelle regioni industrializzate, quasi la metà del cibo totale sprecato deriva dal fatto che i produttori, i rivenditori e i consumatori lo gettano anche se potrebbe ancora essere consumato. Si tratta di 300 milioni di tonnellate annue, che equivalgono a più della produzione totale netta dell’Africa Sub-Sahariana, e sarebbero sufficienti a nutrire 870 milioni di persone affamate nel mondo.
Un mondo più sano e meno affamato sarebbe possibile aiutando i produttori a ridurre le perdite a implementare migliori processi di raccolta, lavorazione, conservazione, trasporto e vendita e combinando questi processi con cambiamenti profondi e durevoli nelle abitudini di consumo delle persone.
Il sistema globale del cibo ha implicazioni profonde per l’ambiente, e produrre più cibo di quello che viene consumato porta a conseguenze importanti, fra cui:
- Più del 20% di tutta la terra coltivata, il 30% di tutte le foreste e il 10% dei pascoli si stanno degradando;
- Il 9% delle riserve di acqua potabile nel mondo si stanno riducendo, il 70% della causa dipende dall’uso eccessivo dell’acqua per l’irrigazione;
- L’agricoltura e la deforestazione contribuiscono a più del 30% delle emissioni totali di gas serra;
- Globalmente, il sistema agricolo e del cibo giustifica quasi il 30% dell’utilizzo di energia.
- La pesca eccessiva contribuisce alla diminuzione delle risorse ittiche.
La campagna nasce anche dagli esiti del Summit Rio+20 del giugno 2012, in cui i Capi di Stato e di governo hanno dato l’assenso ad un frame work decennale per programmi di produzione e consumo sostenibili. Questo framework sarà essenziale per sostenere gli apparati produttori nel giusto modo, ridurre gli impatti ambientali associati e nutrire una popolazione mondiale in crescita.
Secondo la FAO, quasi il 95% del cibo perso o sprecato nei paesi in via di sviluppo deriva da perdite non intenzionali nei primi stadi della catena di fornitura, a causa di limitazioni tecniche o gestionali nelle tecniche di raccolta, negli impianti di conservazione o di raffreddamento in situazioni climatiche sfidanti, nei sistemi infrastrutturali, di packaging e di marketing.
D’altra parte, nel mondo sviluppato, è la coda della catena ad avere un ruolo significativo. Dopo gli stadi di produzione e vendita al dettaglio nel mondo sviluppato, grandi quantità di cibo vengono sprecate a causa di pratiche inefficienti, standard di qualità che danno troppa enfasi all’aspetto, confusione sulle etichette con le date di scadenza e la facilità con cui i consumatori gettano cibo ancora commestibile, magari conservato male o preparato in eccesso.
Lo spreco pro capite si aggira fra i 95 e i 115 kg in Europa e Nord America/Oceania, mentre i consumatori dell’Africa Sub Sahariana e del sud-est asiatico gettano solo fra 6 e 11 kg all’anno.
L’Unione Europea si muove in direzione della soluzione al problema del cibo e la Commissione Europea ha stabilito l’obiettivo per cui entro il 2020 gli sprechi di cibo dovrebbero essere dimezzati. Un minore spreco porterebbe a un uso dei terreni più efficiente, a una migliore gestione delle risorse idriche, a un uso più sostenibile del fosforo e avrebbe ripercussioni positive sul cambiamento climatico.
Affinché la campagna abbia il massimo successo, è auspicabile il coinvolgimento di diversi interlocutori – le famiglie, i supermercati, le catene di hotel, le scuole, i centri sportivi e sociali, i sindaci e i leader nazionali e mondiali.
Il sito web della campagna www.thinkeatsave.org offre consigli semplici ai consumatori e ai negozianti e permetterà a chi organizza campagni di questo tipo di usufruire di una piattaforma per scambiar idee e creare una cultura globale per il consumo sostenibile di cibo.
Fonte: United Nations Environment Programme