È stata presentata ieri, alla vigilia dell’apertura del G-8, l’enciclica sociale Caritas in Veritate.
La terza enciclica del pontificato di Benedetto XVI riguarda i problemi posti dal processo di globalizzazione economica e degli effetti sulla vita delle persone.
Nel testo, però, si riflette anche sull’idea di fare impresa, in un’ottica di responsabilità sociale.
Alla vigilia dell’apertura del G-8 dell’Aquila è stata presentata la terza enciclica di Benedetto XVI, la Caritas in Veritate. Il documento, di carattere sociale, è dedicato ai temi del lavoro, dell’economia e della globalizzazione.
Per quel che concerne il primo punto, il Papa fa riferimento ad un lavoro scelto liberamente, che metta in relazione i lavoratori allo sviluppo della loro comunità e che permetta di organizzarsi liberamente, lasciando spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale.
Un altro capitolo fondamentale è quello dedicato all’economia e alla finanza, incentrato sulla crisi attuale che stanno vivendo i nostri mercati. Dai passaggi dell’enciclica emerge l’esigenza che la finanza “ritorni ad essere uno strumento finalizzato alla miglior produzione di ricchezza ed allo sviluppo. Tutta l’economia e tutta la finanza, non solo alcuni loro segmenti, devono, in quanto strumenti, essere utilizzati in modo etico così da creare le condizioni adeguate per lo sviluppo dell’uomo e dei popoli”.
Ed in oltre “bisogna evitare che il motivo per l’impiego delle risorse finanziarie sia speculativo e ceda alla tentazione di ricercare solo profitto di breve termine, e non anche la sostenibilità dell’impresa a lungo termine, il suo puntuale servizio all’economia reale e l’attenzione alla promozione, in modo adeguato ed opportuno, di iniziative economiche anche nei Paesi bisognosi di sviluppo”.
A nostro avviso uno dei passaggi fondamentali dell’enciclica, anche perchè affine alla nostra idea di impresa e alle problematiche odierne ad essa collegate, è quello in cui Benedetto XVI afferma che:
“le attuali dinamiche economiche internazionali, caratterizzate da gravi distorsioni e disfunzioni, richiedono profondi cambiamenti anche nel modo di intendere l’impresa. Vecchie modalità della vita imprenditoriale vengono meno, ma altre promettenti si profilano all’orizzonte. Uno dei rischi maggiori è senz’altro che l’impresa risponda quasi esclusivamente a chi in essa investe e finisca così per ridurre la sua valenza sociale. Sempre meno le imprese, grazie alla crescita di dimensione ed al bisogno di sempre maggiori capitali, fanno capo a un imprenditore stabile che si senta responsabile a lungo termine, e non solo a breve, della vita e dei risultati della sua impresa, e sempre meno dipendono da un unico territorio. Inoltre la cosiddetta delocalizzazione dell’attività produttiva può attenuare nell’imprenditore il senso di responsabilità nei confronti di portatori di interessi, quali i lavoratori, i fornitori, i consumatori, l’ambiente naturale e la più ampia società circostante, a vantaggio degli azionisti, che non sono legati a uno spazio specifico e godono quindi di una straordinaria mobilità”.
Benedetto XVI fa riferimento ad una precisa responsabilità dell’impresa, affermando che “anche se le impostazioni etiche che guidano oggi il dibattito sulla responsabilità sociale dell’impresa non sono tutte accettabili secondo la prospettiva della dottrina sociale della Chiesa, è un fatto che si va sempre più diffondendo il convincimento in base al quale la gestione dell’impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell’impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento”.
È chiaro come quest’ultimo passaggio fa riferimento ad un’idea di impresa che deve tener conto delle aspettative dei propri stakeholder e dell’ambiente circostante.
Concludendo, ci si aspetta che l’Enciclica, lanciata alla vigilia del G-8, trovi spazio nell’agenda dei potenti. La crisi odierna, infatti, porta inevitabilmente ad un ripensamento dell’architettura economica e finanziaria, un ripensamento che dovrebbe partire direttamente dall’ONU, forse l’unica grande autorità politica in grado di ri-orchestrare un sistema globale che sia incentrato su una reale responsabilità.