Il modello economico adottato dai paesi occidentali e frutto del forte sviluppo industriale che ha avuto origine sin dal XIX secolo, ha generato nel corso del tempo problemi energetici su scala globale, assumendo attualmente un ruolo rilevante nelle questioni internazionali.
Il sempre più ampio utilizzo del carbone nell’ottocento e dei combustibili fossili nel novecento per la produzione di carburante e di energia elettrica, è la causa principale che ha portato all’attuale situazione di emergenza provocata, inoltre, da un’eccessiva dispersione di gas ad effetto serra nell’atmosfera. Il principale di questi gas è individuato nel Carbonio.
Una delle principali sfide che la nostra società è chiamata ad affrontare, si concretizza nella messa in atto di azioni volte alla riduzione delle emissioni in atmosfera di questi gas, dannosi per l’intero ecosistema.
Il Protocollo di Kyoto, siglato nel 1997, ha dato avvio ad una lunga e complessa contrattazione volta alla determinazione di regole e vincoli internazionali per l’attuazione di politiche tendenti a contrastare la minaccia degli effetti dei cambiamenti climatici. A seguito dell’adozione del protocollo di Kyoto, la Comunità Europea si è impegnata a sviluppare una serie di strumenti con lo scopo di ridurre le emissioni inquinanti.
Uno dei più significativi si concretizza nell’apertura del mercato delle quote di emissioni (UE ETS). Si tratta di un mercato regolamentato dalla direttiva europea 2003/87, all’interno del quale è possibile scambiare permessi di emissione. Le imprese europee che rientrano all’interno dei settori indicati dalla direttiva devono limitare le loro emissioni inquinanti in atmosfera secondo quanto indicato nei piani nazionali di allocazione definiti per due periodi di riferimento: 2005-2007 e 2008-2012.
Tale situazione spinge fortemente le imprese a ripensare il loro modo di fare business. Esse dovranno orientare le loro azioni verso un’economia a basse emissioni ma ciò risulta una sfida tutt’altro che semplice.
Il mercato delle quote e dei limiti di emissione si identifica in un sistema di “Cap and Trade” delle emissioni dirette in base al quale i governi stabiliscono un limite massimo (Cap) alle emissioni inquinanti che un paese può emettere ed entro questo limite distribuiscono alle imprese un certo numero di permessi di emissioni.
Il sistema obbliga oltre 10.000 imprese europee a gestire le proprie emissioni di biossido di carbonio.
Ogni stato membro è chiamato ad elaborare un Piano Nazionale di Allocazione (PNA) all’interno del quale vengono definiti i criteri di allocazione e la quantità di quote che possono essere assegnate alle imprese del proprio territorio entro uno specifico periodo di tempo.
Ogni anno le imprese sono obbligate a monitorare e certificare le proprie emissioni industriali annuali, un eventuale deficit di quote sarà sanzionato, mentre il surplus di quote potrà essere venduto o accantonato per gli anni successivi.
Nonostante il sistema EU ETS abbia promosso durante la sua prima fase (2005-2007) una riduzione delle emissioni, queste si sono rivelate comunque superiori ai limiti previsti dagli obiettivi del Protocollo di Kyoto.
Un altro strumento previsto dalla commissione europea è il Carbon Offset. Tale strumento ricade all’interno del mercato volontario e perciò non regolamentato.
Il Carbon offsetting consiste in un sistema di compensazione delle emissioni di gas ad effetto serra, prodotte da una società, attraverso l’acquisto di crediti che permettono il finanziamento altrove di progetti volti al contenimento dei gas.
In sintesi, chi inquina paga qualche altro soggetto per “ripulire l”immondizia prodotta”. Questo concetto, a differenza del mercato delle emissioni, si affida all’iniziativa individuale, alla volontà del privato (azienda o singolo), il quale, consapevole dell’inquinamento prodotto, si impegna a compensare, neutralizzare in modo mirato la propria azione dannosa. Purtroppo anche questo sistema non sempre è risultato così efficiente. I carbon offset, commercializzati in mercati non regolamentati, hanno spesso dato adito a speculazioni, allontanandoli dalla buona causa per la quale erano stati concepiti.
Le politiche future dovranno essere volte al sostegno di una economia più efficiente dal punto di vista dell’impatto ambientale e ogni paese dovrà ridefinire le proprie strategie e i nuovi driver della propria competitività per assicurarsi una crescita economica sostenibile nel tempo. La concentrazione degli sforzi per produrre politiche industriali e strategiche in grado di promuovere la low carbon economy costituirà nel breve futuro una buona strada da percorrere per la lotta contro i cambiamenti climatici.
Inoltre il perseguimento di un’economia a basso impatto ambientale può garantire, oltre a salvaguardare l’ambiente, una valida opportunità per rilanciare un’economia instabile, attraverso nuove offerte di lavoro e una concreta possibilità di ricchezza.