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Quando gli sprechi alimentari producono un’impronta al carbonio più grande di quella di un’intera nazione

La FAO ha recentemente presentato il report  “Food Wastage Footprint: Impacts on Natural Resources.” il primo studio delle Nazioni Unite ad esaminare gli impatti dello spreco globale di cibo da una prospettiva ambientale, considerando specificatamente le conseguenze per il clima, l’acqua, l’uso dei terreni e la biodiversità.

Gli sprechi alimentari non testimoniano solamente di un uso sbagliato delle risorse naturali, influiscono anche, in grandissima parte, sull’impronta al carbonio mondiale. Secondo la FAO – l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura – ogni anno, nel mondo, vengono sprecate circa 1.3 miliardi di tonnellate di cibo, un terzo della produzione globale, il che crea un’impronta al carbonio superiore a quella di tutti i Paesi, esclusi la Cina e gli USA.

La causa è l’immenso ammontare di energia, acqua e sostanze chimiche usate per le produzioni agricole e alimentari; la supply chain alimentare produce circa 3.3 miliardi di tonnellate di carbonio l’anno, e comporta un costo che, escludendo i prodotti ittici, ammonta a quasi 750 miliardi di dollari l’anno, equivalenti al PIL della Svizzera, sempre secondo i dati della FAO.

Se si considera che, al mondo, 870 milioni di persone versano in stato di povertà cronica e soffrono la fame, è inammissibile permettere che un terzo del cibo che produciamo venga sprecato. Tanto più se si considera che ridurre gli sprechi non solo allevierebbe la pressione sulle risorse naturali, già scarse, ma attenuerebbe la necessità di aumentare la produzione di cibo del 60% per venire incontro al fabbisogno della popolazione nel 2050.

Dove si verificano gli sprechi

La maggior parte degli sprechi alimentari (il 54%) avviene durante la raccolta del cibo, in particolare nelle fasi di raccolta e conservazione. Il resto avviene durante la trasformazione, la distribuzione e durante gli stadi del consumo.

Nelle economie sviluppate, come gli USA, in cui gli sprechi alimentari arrivano ad una percentuale preoccupante del 40%, il problema riguarda i consumatori che comprano quantità eccessive rispetto a ciò che effettivamente consumano. Nelle nazioni emergenti ed in via di sviluppo, lo spreco deriva da inefficienze di produzione e da mancanza di metodi di conservazione adeguati, riporta la FAO.

L’Asia (Cina, Giappone, Corea) è una regione in cui lo spreco di verdure e riso è un problema serio, anche perché la coltivazione di quest’ultimo produce ingenti emissioni di carbonio. Gli sprechi legati alla carne sono una problematicità dell’America Latina (in cui si registra l’80% dello spreco di carne del mondo).

Come risolvere il problema

La priorità più alta è ridurre le perdite di raccolto attraverso pratiche di coltivazione migliori; inoltre, è importante riutilizzare e riciclare strategie che facilitino la donazione dei surplus a chi ne necessita e di conferire al bestiame le derrate non idonee al consumo umano. Oltre a queste strategie, la FAO raccomanda la differenziazione dei rifiuti e il compost per recuperare energia e nutrienti e per minimizzare la quantità di metano creata dal cibo marcente nelle discariche.

La riduzione degli sprechi alimentari è una grande opportunità per le economie di contribuire alla transizione verso un’economia green a basse emissioni di carbonio, efficiente dal punto di vista energetico ed inclusiva.

L’UNEP e la FAO sono i partner fondatori di Think Eat Save la campagna lanciata quest’anno per coordinare gli sforzi globali verso la diminuzione degli sprechi alimentari.

 Credit: Una nostra rielaborazione di un articolo pubblicato il 16 settembre 2013 su GreenBiz.com

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