Ci sono diverse pratiche rientranti nella RSI con cui le aziende cercano di esprimere la loro responsabilità nei confronti dell’ambiente.
Tralasciando le più conosciute, come le certificazioni ambientali, la riduzione dei consumi di acqua ed energia elettrica, l’uso di prodotti a basso impatto, nei confronti di questo stakeholder passivo ce n’è una che sta prendendo sempre maggior rilievo: la cosiddetta mobilità sostenibile.
Molte aziende, infatti, stanno cercando di ridurre l’impatto di CO² attraverso soluzioni di mobilità alternativa a ridotto impatto ambientale. Queste misure consistono nel gestire gli spostamenti abituali e sistematici dei dipendenti, sviluppando incentivi, piani e programmi per limitare l’uso dell’auto privata negli spostamenti casa lavoro, il tutto mediante il car pooling, car sharing, bike sharing, trasporto a chiamata, o servizio di navette.
La mobilità sostenibile è entrata a fa parte anche dell’agenda del Governo che, attraverso il “Decreto Interministeriale Mobilità Sostenibile nelle Aree Urbane”, introduce la figura di un responsabile alla mobilità sostenibile del personale negli enti pubblici con più di 300 dipendenti per “unità locale” e nelle imprese con più di 800 dipendenti.
Più recentemente, nel gennaio 2007, il Ministero dell’Ambiente ha coordinato la prima riunione del Tavolo Nazionale per la Mobilità Sostenibile, confermando che nella legge finanziaria del 2007 è stato inserito un fondo per la mobilità sostenibile di 90 milioni di euro annui per il triennio 2007-2009.
Per portare un esempio di questa best practice, l’azienda svedese Ikea, nel proprio report dedicato ai progetti sostenibili, ha posto come impegno cardine la gestione più razionale della mobilità, non solamente dei propri dipendenti, ma anche dei propri clienti, sviluppando un sistema di incentivi, sconti e promozioni per quelli che si recano al punto vendita con un mezzo alternativo all’auto privata.
Un esempio dal settore della logistica
In quest’ottica alcune aziende si stanno sforzando per limitare il loro impatto di CO² anche attraverso un ammodernamento dei loro sistemi di trasporti. Si calcoli che spedire una semplice lettera per posta equivale a produrre 0,01 chilogrammi di emissioni all’anno pro capite di CO².
L’attività delle imprese di spedizione e dei corrieri impatta, quindi, fortemente sul nostro ecosistema. La sostenibilità del servizio è inversamente proporzionale ai tempi di consegna, sempre più celeri anche a causa delle pressioni dei consumatori che vogliono il prodotto ordinato in 24 ore.
Ecco perché le imprese logistiche hanno una responsabilità ambientale molto forte, derivante dall’impatto sull’ambiente dei propri servizi altrettanto forte.
Nel campo dei trasporti impostare una RSI competitiva significa, per esempio, ridurre l’impatto ambientale di flotte terresti ed aeree, come hanno fatto le poste francesi e spagnole, seguendo l’esempio dei colleghi inglesi, belgi e norvegesi
La sostituzione dei mezzi con vetture similari, ma a basso impatto ambientale rappresenta di certo una soluzione interessante al problema. DHL ha seguito questa linea, sostituendo i propri aeromobili e riducendo, così, del 77% l’impatto acustico e del 13% dell’emissione di CO².
Realizzando un preciso piano di sviluppo di RSI, la Royal Mail, invece, non solo ha incrementato la quantità di GPL nella propria flotta, ma è addirittura arrivata a servire più di una grande città solo con questo tipo di veicoli. Deutsche Post ha dichiarato un risparmio di combustibile dell’8% grazie ad un programma di formazione degli autisti in tema di guida ecocompatibile e ha raggiunto l’obiettivo di procurarsi il 50% dell’energia necessaria da fonti rinnovabili, ammodernando la flotta con più di 1.500 veicoli euro 4.
Se questi casi virtuosi risultano ancora sporadici, ci si auspica che essi fungano da best practice per il maggior numero possibile di aziende.